E finalmente arrivò il caldo. Il sole, l’estate, il mare, finalmente finalmente finalmente.
Dopo una primavera passata in balìa di un’altalena emotiva, alle prese con riflessioni e sedimentazioni mentali su quello che mi sta succedendo, su come i passi avanti fatti in questo ultimo anno arrivino poi inevitabilmente ad una snervante fase di stallo, finalmente, arriva l’estate.
Una coppia di amici mi invita in barca, a fare un giro all’isola d’Elba, dove siamo già stati la scorsa estate insieme ma che quest’anno ha un significato diverso, una mini vacanza che anticipa le vacanze, 5 giorni in mezzo al mare, sotto il sole guardando solo gli alberi e il mare non pensando a nulla, e mi sento già la testa svuotata per davvero, proprio come una quiete che arriva nella mia testa dopo una grande tempesta.
1° giorno, sabato 25 giugno
Partiamo come sempre da Marina di Grosseto, sabato mattina, puntando all’isola.
Ho un rapporto strano con il concetto di isola: mi affascina, mi ricorda subito troisi, il postino, o mediterraneo, film di una vecchia italia che non ho realmente vissuto ma che invece secondo me sì, nel mio cervello, non lo so perché. Ma anche qualcosa di un po’ noir, anche macabro direi, se ti uccidono su un’isola e gettano i tuoi resti a mare nessuno li troverà. Che razza di pensiero contorto, va a capire perché.
Puntiamo comunque all’isola, circa tre ore di navigazione a motore, e arriviamo nella prima caletta, quella che si apre a valle delle vecchie miniere, ai piedi del monte Calamita, in zona Capoliveri.
Mi hanno detto sul Calamita si possono fare camminate, trekking, mtb, ma oggi per me il massimo del movimento sarà girarmi su un fianco, e poi, con grande calma sull’altro, lasciandomi poi scivolare in acqua e stop. Fine, energie finite, battery charge mode on.
Le miniere quindi: sono delle miniere di ferro, che hanno chiuso agli inizi degli anni 80, dotate anche di scavi sotterranei molto profondi che è possibile ancora oggi visitare. Via mare, come siamo noi, si vedono sulla costa i resti delle strutture dove gli elbani andavano ogni giorno ad estrarre il ferro, camminando per oltre 10 km per arrivare sul posto di lavoro (e che dovranno poi fare a fine giornata dopo 8 ore passate al buio sotto terra). Non uscivano durante il turno, per non esporre gli occhi alla luce e non dover poi farli riabituare al nero di li sotto.
Praticamente arrivavano all’alba, col buio, scendevano giù, e restavano al buio, per poi uscire al tramonto e di nuovo non vedere la luce. Stiamo quindi parlando di intere generazioni di esseri umani che hanno letteralmente vissuto al buio oltre metà della propria vita. Qui di metafore potrei scriverne a centinaia, ma invece quello che mi viene da pensare è solo che l’uomo è una macchina straordinaria, che riesce persino ad abituarsi ad una condizione di questo tipo, pensando addirittura a questo posto di lavoro come ad un prestigio, per l’epoca.
Il ferro presente nella zona fa si che anche il mare sia particolarmente diverso: una piscina praticamente. I fondali sono bianchissimi, e non c’è traccia di vegetazione o particolari pesci che abitano la zona, e guardare giù quindi è come se ti desse l’idea di stare guardando un mare bambino, prima di svilupparsi nei colori e nell’adolescenza marittima che è invece la vera caratteristica del resto dell’isola.
Ci spostiamo in una cala limitrofa, dove dalla barca accanto vedo un omino montare sul suo tender monoposto una piccola veletta.
L’ho già visto l’anno scorso, e di nuovo quest’anno lo trovo geniale, e anche molto poetico: se ne va per il mare, da solo e senza motore, senza inquinare ne rompere le balle al prossimo, portato dal vento sul suo mini gommoncino in miniatura, cullato dalle onde e sicuro di poter tornare quando vuole. Anche io un giorno avrò un tenderino monoposto con la vela, ne sono certa.
Dormiamo qui, vedo il tramonto sul mare, il tramonto dai colori brillanti e che scalda con le stesse tonalità il mio piccolo cuore dolorante.
2° giorno, domenica 26 giugno
Mi sveglio con calma, ancora cullata dal mare. Non è caldo come in pieno agosto ma sufficientemente per darmi il buongiorno più bello del mondo: ancora con gli occhi chiusi esco dalla cabina, saluto i miei adorati compagni di viaggio già in piedi e rientrati da passeggiata sulla spiaggia con i due cocker più eleganti della cala, salgo sulla ringhera esterna e con un passo sono in acqua, splash. Esattamente come ne cartoni animati, quando vedi che camminando finiscono in acqua. Decisamente meglio di ogni possibile doccia mattutina, sento che tutto il corpo si è ripreso e chiede a gran voce di restare attivo.
Quale miglior momento per tuffarsi da 4 metri d’altezza di testa? Sbaglio il tuffo, piego le gambe all’indietro, e non paga lo rifaccio commettendo per la seconda volta lo stesso errore. Morale della favola, oggi è il 2 luglio e ho ancora mal di schiena. Tutto questo entusiasmo mi ucciderà un giorno, ne sono certa.
Passiamo la giornata al sole, a chiacchiere, in acqua, mangiando pasta col pesto, ricordandoci di prepararne di più per le occhiate in acqua che ci guardano come bimbe affamate. Lo scorso anno erano lunghe come il mio dito, ora come uno stinco. Secondo me, care occhiatine, è arrivato il momento della dieta, la prossima volta vi lancio solo le mele.
Andiamo a dormire in porto a Portoferraio, le previsioni danno un po’ di onde per il giorno dopo quindi godiamoci il paese.
Portoferraio.
Prima volta qui, arriviamo al porto antico, proprio nel cuore mediceo, dove una piccola darsena gioiello ospita mini barchette di pescatori e giganteschi yatch pacchiani (quasi tutti russi ovviamente, sono particolarmente bravi nello scegliere tutti i decori più sbrilluccicosi che esistano in mare, credo vengano proprio istruiti a scuola per farlo).
Il porto è un amore, e scegliamo una semplice osteria di mare lungo il molo per cenare.
E qui incontriamo i primi nuovi amici di viaggio di questa mini vacanza: due ragazzi emiliani, in vacanza all’Elba perché uno dei due veniva qui da piccolo con la famiglia e ne aveva conservato i ricordi.
Ceniamo praticamente insieme perché l’Osteria Libertaria (dove non fanno il caffè per tradizione, secondo me perché credono che il senso di rilassatezza non debba essere disturbato dalla caffeina cattiva) ha qualche tavolo da condividere. Chiacchieriamo e scopro che Giorgio gestisce un mercato sociale in centro a Bologna, slow food con prodotti locali, e Adim è di origine marocchina, cresciuto a Bologna ma adesso in Giordania per le nazioni unite. Che belle storie, che bello che è il mondo.
Il cuoco seduto sul molo si fa fare una foto:
Dopo cena decido di addentrarmi nel cuore dal paese da sola, per scoprire di notte e senza turisti quella che credo essere la vera anima del posto. Il proprietario del ristorante, incontrandomi in piazzetta, mi consiglia di salire tutte le scale e arrivare in cima alla casa di Napoleone, da dove si dice guardasse la sua Corsica affacciato ad una ringhiera.
Salgo gli scalini e mi sento veramente come in un vecchio film, tra i vicoli e i lampioncini con il rumore del mare alle spalle.
Riscendendo in piazza mi chiedo se ci sarà un posto aperto, dove bere una cosa ma non vedo nulla intorno a me.
Se non una ragazza, ferma sotto un porticato che guarda il cellulare e senza pensarci troppo mi avvicino e le chiedo informazioni.
E in un secondo ci ritroviamo a camminare insieme, mi dice che sta incontrando un paio di amici per bere una cosa insieme, vieni con me che li raggiungiamo.
Così, damblè. Come se per entrambe fosse la cosa più normale del mondo, ed in effetti lo è. Fa solo strano pensando alla realtà cittadina in cui se va bene ci si evita, meglio ancora non ci si guarda proprio in faccia.
Ma sull’isola, dato che c’è già l’isola a fare l’isola non c’è bisogno che lo facciano anche le persone.
Fabiana è qui per scrivere la tesi di dottorato in biologia, ospite da un’amica anch’essa campana che è qui invece per insegnare a scuola biologia e scienze. Fabiana ha deciso di venire qui per un esilio personale in cerca della tranquillità necessaria a scrivere, dopo anni in Belgio dove studia e fa ricerca. Quanto ti invidio Fabiana, non sai quante volte avrei voluto e tuttora vorrei mollare tutto e auto esiliarmi in cerca della tranquillità del mare.
Incontriamo Luana e Vito, che insegnano entrambi qui e finiamo in un bar, forse l’unico aperto, a chiacchiere per ore, raccontandoci delle nostre vite di giovani trentenni che hanno fatto scelte atipiche, senza un compagno al fianco perché tanto orami lo sappiamo, gli uomini veri devono essere davvero stati spezzettati e gettati a mare, ridendo della strana coincidenza che ha portato me e Fabiana ad incontrarci in piazza.
3° giorno, lunedì 26 giugno
Ci diamo appuntamento al giorno dopo per fare colazione insieme, e infatti mi raggiungono in barca in tarda mattinata. Tutti ancora un po’ spossati dall’alcool del giorno prima, i miei amici propongono un giro in barca per fare due tuffi e usciamo. La giornata scorre in preda al mal di mare di uno, alla nausea di altri, un po’ intorpiditi, mannaggia a noi e a quei maledetti vodka lemon! Questo però non ci impedisce di prendere il sole, fare tuffi (bassi, mi fa ancora male la schiena) e rientriamo la sera dandoci appuntamento al dopo cena.
C’è l’Italia stasera, per cui proviamo ad andare in piazzetta dove un bar ha appeso un proiettore. L’ha pensato tutto il paese, ovviamente, e quindi non c’è posto neanche in piedi.
Camminando per tornare a vederla in barca incontriamo Giorgio e Adim che avevano pensato la stessa cosa e che alla fine si sono seduti in un normale bar li accanto. Se volete venire per il secondo tempo ci trovate lì!
Arrivano puntuali, con vino e cecinata (non lo se si chiama così ma era buonissima) calda, e tra una risata e l’altra arriviamo all’orario di cena felici per la vittoria della nazionale e decidiamo di mangiare una pizza insieme dal creatore della cecinata, il Castagnacciaio (o qualcosa del genere, buonissimo se capitate lì andate, ho ordinato due pizze una dopo l’altra).
Ci raggiungono dopo cena Vito, Luana e Fabiana e insieme a Giorgio e Admin facciamo gruppo verso la fortezza per bere qualcosa (di molto più leggero rispetto al giorno precedente).
Si chiacchiera dei progetti, dello yoga (quasi tutti pratichiamo), delle esperienze, e del futuro, senza pensare alla fortuità del caso che ci ha fatti trovare a passare questo tempo di vacanza insieme, e io sono felice felice felice. Vivrei solo di questo. Della curiosità della novità, dell’emozione della stranezza, della sincerità del caso.
Vado a letto nel porto, felice e serena, cullata sul moletto.
4° giorno, martedì 27 giugno
Ci svegliamo e ci raggiungono Giorgio e Adim: siamo diretti dall’altro lato dell’isola, vicino Porto Azzurro, che essendo però così piccola dista via terra una ventina di chilometri da qui per loro per tornare stasera. Noi dormiremo lì per rientrare poi domani nel pomeriggio a Marina di Grosseto.
Diretti nella cala più bella del mondo, Calanova, dietro l’angolo di Protoferraio, dove i pini marittimi arrivano fino in acqua, su isolotti ordinati come un quadro degli impressionisti francesi.
Chiacchieriamo durante il giro e ammiro questi ragazzi trentasettenni, che si sono inventati un lavoro, che hanno cambiato mille idee e fatto delle proprie ciò di cui vivere e per cui essere felici ed orgogliosi. Rimanendo sempre umani, educati, con principi tradizionali ma ragionati, scelti.
Facciamo un giro con maschere e boccagli tra gli scogli per vedere pesci colorati, giocando con l’ancoretta del gommoncino che ci fa spostare dalla barca (che ormai guido come una provetta tenderista, e da bravo mozzo ormai so fare nodi e lanciare cime con grande eleganza) e facendo yoga sul tetto ridendo per il rischio di cadere sbilanciati dall’ondeggiare del mare.
Ceniamo la sera in questo stabilimento ristorante che piange il cuore lasciare ogni volta per quanto è bello, loro poi prendono un taxi che per cinquanta euro li riporta di notte dall’altra parte dell’Isola (cinquanta euro, sono quelli che ci vogliono per andare in aeroporto a Roma e qui ci si attraversa tutta la parte corta l’Isola).
Spero di rivederli, sul serio, non come quelle conoscenze in vacanza che si dice ci rivedremo e poi non è mai così.
5° giorno, mercoledì 29 giugno
Mi sveglio presto, con la solita doccia naturale, scendiamo a terra per fare colazione e svengo di nuovo nel mare, non pensando al treno all’alba di domani che mi porterà di nuovo a lavoro, alla mia vita normale e agli impegni, mi stendo in acqua non pensando proprio a niente di tutto questo.